Mentre guido mi rendo conto che non sono più stata al cinema senza di te. È il cinema vicino a casa tua, dove siamo andati insieme qualche volta. Una lieve commozione mi coglie quando, invece di svoltare verso dove ti sono venuta a cercare anni o settimane fa, tiro dritto.
Il parcheggio è più affollato del solito. Ci volevo venire con Simona qui, ma lei non ha potuto e così ho trovato un sostituto un po' a caso. Probabilmente anche lui cerca una situazione un po' così, un po' a caso.
Quando arrivo mi aspetta fuori e cominciamo a girottolare per il cinema con un passo inutilmente svelto. Incontriamo M. con il marito, "cosa andate a vedere?", "Oh, anche noi!" e dopo alcuni secondi in cui spero soltanto che non mi chiedano niente di te trascino lui a prendere un caffè.
Arrivano anche loro. Lui inizia a parlarci. Parla di un posto progettato male, un altro cinema dove le poltroncine sono "in salita". Mi appoggio col gomito al bancone e lo guardo. È bello.
Vedi che non devi sempre controllare tutto te, mi dico.
Loro ridono, lui ride, io rido.
Mi dirà che si era accorto che sono andata in crisi e che l'ha fatto apposta.
Sarà anche per questo che proverò per lui dei sentimenti buoni.
Dopo un po' siamo seduti e guardiamo insieme le pubblicità. Ci indigniamo per l'ipocrisia degli spot. Non molto, però. Cosa possiamo aspettarci da questo posto. Ma perché la Rai spende soldi per promuovere Mameli nei cinema? Non lo so. La Rai. Il servizio pubblico. L'irriformabilità delle Istituzioni. Siamo vicini ma non ci tocchiamo, non avverto nessun disagio. È come se avessi me accanto. Male male guardiamo il film, no? Guardiamo il film.
Poor Things mi diverte. Mi fa ridere, lo trovo entusiasmante, esilarante. È il tuo film, mi ha detto Ila, ed è parecchio vero. Lo guardiamo in inglese ma ci sono i sottotitoli in italiano.
A me piace più che a lui. Lui è subito pronto a dire cosa ne pensa. Io sempre la solita storia dei sentimenti buoni. Usciamo e parliamo. Parliamo. Parliamo.
Poi io vorrei che, ma non ci spero, guarda quanto parla, non lo farà mai e invece alla fine sì e poi però è tardi e devo scappare e al posto nostro, che ripartiamo ognuno con la sua macchina, rimane una bolla di sapone che vola sulla minuscola città in cui ci troviamo. Vola alto, come i rutti di God(win Baxter). Si fa desiderio.
Poor things. Corpi che si incontrano in mondi surreali, sospesi tra il passato e l'immaginazione.
Come i nostri. Io vivo un tempo che non esiste, che però è il mio presente. Lui vive un tempo che non conosco.
Il tempo della sera passata a girovagare in cerca di un briciolo di verità.
Ci hanno fermati mentre camminavamo a piedi, innocui, occhi negli occhi. Dove andate, ci hanno chiesto. Il tempo che non conoscono loro è questo, passeggiamo, abbiamo risposto. Ed era vero. Non ci hanno creduto, ma non lo sanno nemmeno loro.
Ci sono città dove i nomi delle piazze non corrispondono alle chiese che ospitano. Ci sono città dove le piazze sono piene di tavolini e dehors. Noi due in piedi su un incrocio a parlare di cose lontane nel tempo e nello spazio, eppure collocate in un centro esatto del nostro cuore.
Il mio è in frantumi, ma ha ancora un centro. È pieno di semi. Germoglieranno. Il 22 di marzo, il 24 di febbraio, il 17, il 18. Forse il giorno del lievito.
Stamattina erano le cinque quando mi sono addormentata. Erano le nove e mezzo quando sono ripartita da casa. Erano le dieci quando sono arrivata al circolo. È freddo, mi hanno detto, perché ero senza giacchetto. Ma il sole era già alto e io avevo addosso una corazza di bene. Non si sente il freddo quando si indossa una corazza di bene, si è dormito pochissimo e si ha davanti una giornata impossibile.
Era così liscia la tua schiena che non mi riusciva prendere sonno. Poi mi sono appisolata. Eravamo distanti, eravamo lo stesso corpo, eravamo scambiati. L'aria ci ha respirati. Sognavo. Mi sono svegliata. La tua schiena era così liscia. Le tue mani ghiacce mi ricordano che sono viva. L'aria ghiaccia della strada mi ricorda che è tardi. La solitudine ci rassicura.