In piazza Tasso ci sono dei tavolini di legno. Sono tavolini da picnic, di quelli con le panche coordinate posizionate sul lato lungo.
Capotavola, presso uno di questi tavolini, c'è una sedia con le ruote. Una specie di "sedia presidenziale", sul terriccio del parco. Stamattina c'era uno seduto, su quella sedia. Beveva birra insieme a un altro tizio. I due hanno evidentemente alcuni discorsi aperti con l'alcol. Questo è quello che vedo quando esco dal parcheggio convenzionato con il luogo dove lavoro. Venire a lavorare in macchina è un lusso che mi permetto in questo periodo.
In ufficio ho incrociato un tizio con dei pantaloni cargo che avevano una buffa toppa con un disegno e una scritta.
Il disegno era un'aquila, la scritta "LEADER".
Mi sono chiesta: ma si sarà accorto, stamattina mentre si vestiva, che stava per indossare una cosa così buffa?
Poi mi sei venuto in mente e ho pensato che ci sono tante donne che possono avverare le tue richieste (altrettanto buffe) e che io vorrei avverare quello che pare a me. Se le due cose coincidono, ogni tanto, buon per noi.
Sembra un esercizio semplice, banale, e invece è complesso per me, che tendo a rendermi fluida anche quando non è il caso. (Mica sempre, ed è qui che mi frego da sola. Mi illudo di essere soltanto forte e invece sono forte e pasticcino, senza una regola precisa).
Pontedera, a seconda di dove parcheggi, fa paura. Giri gli angoli e ti ritrovi dentro degli abissi dell'architettura e della società, molto difficili da occupare. Non capisco quale passo mantenere mentre cammino, se indossare un sorrisetto o una faccia scura, non mi rendo conto se sia meglio guardare i pochi passanti negli occhi o schivarne anche il pensiero.
Fa paura perché non è un posto spaventoso in sé. Se ci passi con la macchina sembra normale.
È uno scenario ballardiano, ma a bassa intensità.
Ti ho dato appuntamento lì perché potessimo fare un po' di strada per uno e infatti ha funzionato.
Guarda, adesso è anche qui. La scatola è tutta imbrattata di sangue e ho anche finito il coso per i pavimenti. Il sangue ha impregnato anche il tappeto del salotto di casa di mia madre, non so come sia potuto finire lì. Ci sono almeno diciotto scatole in diciotto case e in ognuna di queste io cerco di tenerle con le mani e con le braccia, barcollo e non so dove appoggiarle e nel frattempo il sangue gocciola dappertutto e c'è odore di ferro e rumore di fango.
E se al posto del cuore c'è una mela, ricorda: "Abbi caro chi ti sbuccia la frutta". Sbucciamoci e teniamoci care. L'unica cosa certa adesso è il dolore.
Stampa tutto, stampa tutto e portamelo. Stampiamo tutto e portiamoci in giro. E quando crollerà l'ultima certezza potremo finalmente cantare.